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Sono le 9,30 del mattino. Entro al pronto soccorso dell’Ospedale Martini e mi dirigo davanti allo sportello “Triage”. Credo che tocchi già a me, non ho nessuno davanti . Sulla porta c’è scritto di bussare e attendere. Mentre busso, ho sicuramente attirato l‘attenzione dei tanti sguardi già annoiati dei presenti; accompagnatori e pazienti, tutti sistemati nella sala d’attesa senza un ordine apparente. -Prego, entri!- mi dice una voce maschile. Mentre entro, l’infermiere vestito in bianco e blu mi fa cenno di sedermi (Fulvio). La prima cosa che noto in lui oltre ai capelli rossi è la sua giovane età. Ha un fare piuttosto concitato anche nell’inserire i miei dati personali, un po’ come fosse di corsa. Con lo sguardo indirizzato al monitor del computer, mi chiede il motivo per il quale sono qui. Io gli spiego che da 4 giorni ho un’emicrania molto fastidiosa localizzata in un punto preciso. Solitamente non soffro di mal di testa ma, cosa importante, è che avendo avuto un’ischemia 3 anni fa seguita da altre piccole avvisaglie, ho pensato di farmi controllare, possibilmente con una Tac, seguendo quello che il mio medico mi ha consigliato di fare quando mi viene un mal di testa “anomalo”. Fulvio intanto viene distratto da un nuovo paziente che inopportunamente è entrato da una porta di fianco senza alcuna autorizzazione. Con educazione, ma indubbiamente molto seccato, gli chiede di uscire e di attendere fuori, quando avrà finito con me potrà riceverlo. Poi ritorna a dedicarsi alla registrazione dei miei dati, mi mette al polso un braccialetto bianco di carta, mi restituisce il documento e la tessera sanitaria poi mi dice di accomodarmi in sala di attesa e aspettare. Verrò chiamato attraverso l’altoparlante. Leggo i miei dati anagrafici sul mio nuovo braccialetto, mi siedo, faccio una telefonata e poi, solo più il tempo di dare un’occhiata al mio foglio di accettazione in carta riciclata,(codice verde) che sento già chiamare il mio nome abbinato alla sala Medicina 2. Allora vado e suono il campanello del “vero ingresso” del pronto soccorso, mi apre un’infermiera, le dico chi sono e che sono appena stato chiamato. Lei mi indica il percorso. Attraverso tutto il corridoio passando fra i degenti coricati sulle lettighe in situazioni fra le più diverse: con coperte, seminudi, uomini e donne per lo più anziani con gli sguardi spenti; coi trespoli delle flebo a fianco dei loro letti; alcuni separé qui e là a coprire alla meno peggio le proprie dignità; ci sono anche persone giovani con arti ingessati, traumi vari o con un problema di forte otite (come quello che scoprirò più tardi) (Sara). Mi dirigo comunque verso la sala Medicina 2 dove sono atteso. Busso ed entro. Alla scrivania, la dottoressa al computer mi pone più o meno le stesse domande alle quali avevo già risposto a Fulvio. La dottoressa (Giulia) dalla folta capigliatura castana mi misura la pressione e poi mi prega di coricarmi sul lettino mentre entrano un’infermiera vestita di bianco dall’atteggiamento molto disinvolto (da “capo” (Mirella): capelli biondi corti, con una bella voce calda, seguita da un’ altra giovanissima collega (Martina), molto graziosa , credo sia una tirocinante perché ha dei profili verdi sulla divisa, capelli castani raccolti a coda, anche lei molto gentile. Tolgo la camicia e a tempo zero faggio i raggi al torace. Poi mi fanno coricare sul lettino, mi applicano sul petto una serie infinita di ventose e cavetti tutti collegati ad uno strumento che disegna un tracciato sul rotolo di carta chimica millimetrata. La giovane Martina, si rivela essere alle prime armi nell’inserire l’ago nella vena del mio braccio destro (quel “coso” servirà a farmi una bella flebo per il mal di testa). La Martina è assistita dalla Mirella che, con pazienza, cerca di trasmetterle un po’ di sicurezza; cosa che fino a quel al momento non mi sembrava ne avesse molta. Io non guardo, o meglio, “casualmente” volto la testa verso il muro a sinistra, perché un ago infilato in una vena mi ha sempre fatto un certo “effetto” anche quando è messo ad altri, figuriamoci poi se la vena in questione è la mia! Mi mette un bel cerotto bianco a coprire quel piccolo stranissimo impianto di plastica dotato di un mini-rubinetto installato a livello interno del gomito. Ecco fatto, passano solo cinque minuti ed iniziano a togliermi tutti gli ammennicoli vari dal petto mentre io mi guardo e dico: -Caspita quanti sono!- Mirella con un sorriso ribadisce: -Sta parlando dei suoi peli vero?- -No, a dire il vero parlavo di tutti quei tubini e ventose attaccati a me …!- -Certamente!- mi risponde! -Ora può rivestirsi così la portiamo qui fuori su questa sedia a rotelle.- -No, ma non è il caso! Io posso camminare!- -Lo sappiamo benissimo, ma adesso dovrà starsene un po’ tranquillo seduto mentre le somministriamo una flebo per farle passare il suo mal di testa!- Ah già! mi ero dimenticato del mio mal di testa! Sarà forse per la tensione nervosa! Ora mi trovo nel corridoio seduto davanti ad una delle due porte della sala Medicina 2, con il mio giubbotto messo intorno allo schienale: la mia borsa di lavoro ed il pullover comodamente posizionati sulle mie ginocchia . Rimango in camicia, con il braccio destro scoperto lasciato a loro disposizione. La temperatura dell’ambiente è buona, non fa assolutamente freddo, anzi …! Ora, la Martina esce con una boccetta di vetro medio-piccola e l’appende al tubo metallico inserito a lato della mia sedia a rotelle; poi collega un tubicino al mio impianto di plastica infilato al braccio e dà il via al flusso del medicinale a caduta. Mi dice di attendere qui, che verrò chiamato per la Tac, poi mi abbandona rientrando in sala 2, mentre io rimango a guardare il mio braccio con aria schifata. Eccomi qua, adesso ho tutto il tempo di rendermi conto di ciò che mi sta intorno. Dietro di me c’è il corridoio dal quale sono arrivato qui, ma ora non posso guardarlo, perché gli sono di spalle, a meno che non faccia uno sforzo per girarmi. Quindi il mio raggio d’azione, anzi di vista, si limita a poter osservare unicamente dritto, di fronte a me, fino alla fine opposta del corridoio. Inizio a realizzare osservando questa locazione: le luci accese nelle plafoniere, i colori verde tenue del muro, le strisce gialle e blu per terra ad indicare i percorsi da seguire; e poi, le espressioni dei degenti, le facce degli accompagnatori, il dolce viso ed il bel fisico di una bella signora che tiene silenziosa la mano al marito, messo su una lettiga e poi un signore anziano più avanti (Gino) anche lui su di un lettino. Sono intento a seguire i vari discorsi che ognuno di loro tiene privatamente, oppure sottovoce al telefonino, cercando di capire di quale natura possano essere i motivi per i quali si trovano oggi, un banalissimo martedì, in un pronto soccorso. Irina, una donna bionda anch’essa sul lettino è da sola. Avrà una cinquantina d’anni. Mi sembra romena, dall’accento con il quale si esprime. Si sta lamentando per la forte emicrania, ma non sta ferma un attimo nonostante che anche lei abbia una flebo. Noto che il suo medicinale è quasi arrivato alla fine. A proposito, come sarà messa la mia boccetta? Alzo la testa per curiosità, anche se è sicuramente un po’ presto … ma non vedo bollicine; è tutto fermo! Allora il mio sguardo ricade automaticamente sul braccio e vedo che il tubicino dal quale parte la flebo si sta lentamente riempiendo di sangue; cazzo sta lavorando al contrario! C’è un continuo via vai di medici ed infermieri, ma nessuno di loro ti guarda in faccia per evitare di dover dare risposte agli sguardi interrogativi di noi pazienti. Chi più, chi meno, siamo tutti desiderosi di porre domande sulla nostra situazione. Io, ad esempio, vorrei chiedere a qualcuno se è normale che la flebo sia in fase di stallo, anzi in recessione! Inaspettatamente vedo uscire dalla sala 2 la Martina e, ancor prima che prenda velocità, prendo coraggio e la blocco: -Mi scusi, secondo lei è normale che sia così? (indicandole la cannula che mi arriva al braccio.) Perché non vedo scendere il liquido dalla flebo!- -Uh no,no! Aspetti …. ecco qua, adesso vedrà che piano piano riparte- Mi ha semplicemente girato la rotellina del flusso sottostante la boccetta della flebo. Tutto a posto. Ora mi rilasso. Intanto lei è già sparita. Col trascorrere delle mezz’ore, le polemiche in confidenza fra paziente e paziente aumentano di frequenza. Sento anche il parlare fra due infermieri: uno in cerca di un lettino libero ed utilizzabile e l’altro che gli dice: -No, non puoi prendere quello … è rotto! Devono venire a ripararlo!- A fianco a me, nel lato sinistro del corridoio c’è Sara, una giovane paziente anche lei seduta sulla sedia a rotelle. Sembra davvero dolorante, ha il capo leggermente inclinato verso la mia parte, appoggiato sulla sua mano, come se quella posizione le potesse attenuare il dolore. E’ quella ragazza di prima, quella che ha un problema di otite. Dietro di lei c’è sua madre, alta e le assomiglia molto. E’ in piedi, appoggiata al muro e tiene fra le braccia i due giubbotti, il suo e quello della figlia. E’ molto crucciata! Sul suo volto traspare la preoccupazione di madre. Ad un tratto, Irina, quella che continua a lamentarsi, chiede proprio a quella signora, se può aiutarla ad alzarle un po’ lo schienale del letto in modo di avere la testa più sollevata. -Certo, risponde lei e si dirige verso il lettino guardandosi intorno nella speranza che nel frattempo compaia un addetto dell’ospedale. Ma nulla! Allora si china per vedere sotto il lettino e capire come potrebbe sollevarlo, ma poi di scatto si rialza. Nello stesso momento Irina tenta di alzarsi, così che le due donne reciprocamente si danno una testata colossale di cui sento io il rumore a tre metri di distanza. Irina grida: -Ahiii! Che male! E sono qui per questooo!- La signora imbarazzatissima cerca di scusarsi, mentre io cerco di trattenere una risata. Noto che ha visto anche Gino, sul lettino più in giù e anche Sara che, nonostante il suo dolore, le scappa da ridere! La malcapitata continua a lamentarsi fino a che un’infermiera le mette una nuova flebo. Intanto , fra le telefonate di tutti, capisco che Gino è rimasto vedovo solo pochi mesi fa, avrà circa ottant’anni e sono tre giorni che è lì ricoverato in Pronto Soccorso. Oggi pomeriggio, finalmente sarà dimesso e verrà sua figlia a prenderlo. La madre di Sara decide di andare a prenderle una bottiglietta d’acqua, e combinazione appena si allontana, una OSS prende e accompagna Sara a fare l’analisi che attendeva. Percorrono uno slalom fra me, lettini e carrozzine varie e poi le perdo di vista. Ovviamente la madre, che era stata via solo qualche minuto, quando arriva con la bottiglietta, si accorge che sua figlia non c’è! Si guarda intorno come per capire se il posto fosse quello giusto, mi guarda e mi chiede: -Ha mica visto dove sia andata mia figlia? Mi sono assentata un attimo e non la vedo più!- Io le rispondo che un’infermiera l’ha portata via proprio pochi minuti fa, ma non ho idea di dove siano andate!- Una dottoressa (Marina) mi si avvicina, con dolcezza si china verso di me ed iniziamo un dialogo piuttosto conviviale, nonostante la forma da seguire. È la neurologa. Me l’avevano detto che avrei dovuto sostenere una visita neurologica ed eccola qui! Le racconto della mia ischemia che si è risolta già da tempo; del mio mal di testa ben localizzato ma non esteso su tutto il capo, non ho sensazioni di vomito ed assumo i seguenti farmaci: bla bla bla …. Ancora qualche informazione e la dottoressa arriva alla conclusione: -Bene, attendiamo l’esito della tac e se non riscontriamo nulla di anomalo, per quanto mi riguarda, potremo anche rimandarla a casa!- -Grazie mille dottoressa!- Diciamo che era un po’ quello che avrei voluto sentirmi dire! Meglio così, ora sono un po’ più rilassato. Riprendo in mano il telefonino e, come tutti gli altri, messaggiando e telefonando mi rimetto in attesa. Ad un certo punto, Gino, con gli occhi spalancati, si agita per attirare l’attenzione e ad alta voce dice: -Ma guarda dove siamo arrivati! C’è un poveraccio caduto dal letto, laggiù, e nessuno che lo aiuta! Fanno tutti finta di niente! Guarda a che punto è arrivata la sanità di oggi …!- A questo punto sono molto incuriosito, come chiunque atro; mi giro a fatica per rendermi conto di cosa fosse successo. Sì lo vedo anch’io! E’ in fondo al corridoio è supino con la testa e braccia sotto il letto come se volesse arrampicarsi o togliersi da un impiccio! Poi realizzo: è un manutentore, che sta semplicemente aggiustando quel lettino del quale avevo sentito parlare circa un’ora fa’. Allora mi giro verso Gino e gli dico: -Ma no, stanno solo aggiustando un lettino! Quello a terra è l’inserviente che lo sta riparando!- Gino, arrossisce e alzando le braccia chiede subito scusa: -Oh scuseme, neh?- e con orecchie basse, si zittisce per qualche minuto. Poco dopo, in fondo al corridoio vedo che c’è un signore (Pasquale) anche lui anziano che non avevo ancora visto bene perché era sempre coricato. Non appena passa un medico, lui lo blocca e gli chiede se può avere vicino la moglie che sta aspettando fuori in sala d’attesa. Il medico gli chiede il nome e poco dopo, sento chiamare all’altoparlante “la moglie di …. (Pasquale) è richiesta in pronto soccorso” . Arriverà di lì a poco. E’ una signora anziana, con cappotto e borsetta. Ha le caviglie gonfie e cammina ciondolandosi a fatica. Chiede al marito sulla branda come sta e poi rimane al suo fianco. Ormai è quasi la mezza. Siamo tutti nelle identiche posizioni. Io mi sono alzato e sono già andato in bagno passando fra i lettini e sedie a rotelle. Una piccola preoccupazione in verità ce l’avrei: ritroverò ancora la mia sedia e soprattutto ritroverò la mia borsa e il giubbotto coi miei documenti in tasca? Sì, certo! Tutto a posto! Anzi, mi accorgo adesso che manca il lettino di quello assistito dalla bella mogliettina! E naturalmente manca anche lei! Io mi risiedo al mio posto ed osservo Fulvio, l’infermiere al triage che porta alcuni vassoi ai degenti sui lettini! È ora del pranzo! Gino, mentre serenamente si gusta il suo pasto, borbottando dice che è il terzo giorno che è lì! Poi, viene avvicinato da un medico che io non avevo ancora visto: gli porge un foglio e gli dice: -Oggi, quando sua figlia viene a prenderla, mi faccia chiamare; vorrei ancora dirle alcune cose!- - Senz’altro!- risponde l’anziano. -Mi ha telefonato per dirmi che verrà a prendermi verso le due, due e un quarto!- Ma il medico se ne va e lui rimane con un espressione un po’ perplessa: -Sì, ma come si chiama?- guardando tutti con aria interrogativa. Ma come me, nessuno gli risponde. Dopo un po’ il medico ripassa per un altro paziente e Gino subito, lo ferma: -Dottore, mi dice solo di chi deve chiedere mia figlia quando viene?- Il medico continuando il suo percorso gli risponde: -E’ sufficiente che le dica solo il medico di guardia! Ci sono solo io!- e fugge un’altra volta. Passa ancora un po’di tempo ed i vassoi dei degenti vengono portati via, mentre noto che quella signora anziana, la moglie di Pasquale non ce la fa più. E’ stanchissima e non si è ancora seduta. Nel corridoio non ci sono sedie. Una OSS, con camice azzurro, le porta un sedia in formica forse recuperata in una delle sale visita, rischiando di prendersi un cazziatone. Infatti poco dopo un giovane medico la riprende davanti a tutti, si rivolge anche alla moglie di Pasquale dicendole che se vuole sedersi dovrebbe andare in sala d’attesa dieci metri più in là! E’questo “dovrebbe” che mi suona male! perché in questo modo, non essendo stato perentorio, la moglie di Pasquale rimane lì, seduta vicino al marito. Secondo me, non ha avuto il coraggio di mandarla via! Meglio così! Io intanto, da bravo, sono sempre seduto al mio posto. Quasi quasi, mi alzo e mi sgranchisco. Vorrei chiedere alla Martina se è il caso che tenga ancora al braccio quell’impianto infilato nella vena, dal momento che ormai, da ore, la flebo non ce l’ho più. Da ancor prima che andassi a far pipì! Ma non la vedo! A dire il vero no ho più visto neanche la dottoressa Giulia e a pensarci neanche l’infermiera Mirella! Ora ci sono i nuovi turni! Ecco perché adesso vedo entrare ed uscire dalla sala Medicina 2 (Francesca) l’infermiera giovane, bionda alta e molto carina! Nel corridoio, di fianco a Gino, poco più in là si sono aggiunte due signore che rimangono in piedi anche loro con borsette e cappotti sotto braccio; non capisco chi stiano assistendo; c’è qualcuno su un altro lettino ma non vedo bene. Sì, una donna anziana, tutta coperta che sembra stia dormendo. Sarà la loro madre, immagino! Nel frattempo dietro di me è ritornato quello che era assistito dalla moglie bellina; ma lei adesso non la vedo. Peccato! È tornata anche Sara con sua madre! Ci siamo quasi tutti! Irina, sul suo letto continua a piagnucolare! Ad un tratto prende il telefonino, compone un numero e lo porge all’infermiera Francesca che stava passando di lì le dice: -Tenga, le parli lei, le dica che cosa ho!- Francesca, che per gentilezza le ha afferrato il telefonino, rimane interdetta e presa di sorpresa le chiede: - Chi è?- -E’ mia zia- le risponde Irina! -Ma … , io non so nulla, dovrei vedere la sua cartella; ma cosa mi fa fare!?! Il telefono sta ancora squillando, ma non risponde nessuno!- Poi si precipita nella sala 1, sempre con il quel telefonino in mano, apre la porta e chiede: -Scusate, questa signora mi ha dato suo il telefonino per farmi parlare con qualcuno. Mi dite almeno che cos’ha?- Sta cosa mi fa davvero ridere! Quella Irina mi è diventata davvero antipatica! Fa troppo la vittima piagnona! Le avrei dato io un’altra testata! Quanta pazienza ci vuole per lavorare in un pronto soccorso! Me ne rendo conto sempre di più man mano che passano le ore! E’ arrivata la figlia di Gino! A occhio tra i cinquanta e i cinquantacinque, tutta tirata, bionda, magra e indossa un giubbotto in pelle da teen-ager con un paio di leggins fiorati che le avvolgono due gambe secche. Molto decisa e piuttosto presuntuosa: -Ma sì, papà, ci penso io a vestirti! Dai togliti la coperta- poi rivolgendosi alle due signore in piedi chiede loro: -Vero signore che vi girate dall’altra parte? Vero papà che non te ne frega niente di far vedere loro il pisello? A parte che è morto! Sapete, ormai il suo pisello è morto!- Le due signore imbarazzate non dicono nulla e rimangono voltate dalla parte opposta! Che squallore, penso fra me e me! Ho ascoltato tutto e mi vergogno per la spavalderia di quella donna idiota! Probabilmente anche lei ce l’avrà “secca”! Mi vengono in mente tutte le volte che ho avuto occasione di parlare di dignità. Ora è meglio pensare anche al rispetto per un padre anziano, vedovo, in un pronto soccorso! Povero Gino! Un giovane infermiere che ha visto tutto, di quelli del nuovo turno, si precipita a portare un paravento. Lo posiziona a proteggere il malato e poi si rivolge alla “figlia megera” dicendole: -La prossima volta ci chiami per favore … Siamo qui per questo … !- Nel mentre, sento un chiacchierio dalla sala 1, sento sussurrare che il macchinario della tac si è bloccato. Dovranno usare quello su, del reparto! E li sento anche nominare il mio cognome insieme a quelli di altri due! Bene, almeno so che non mi hanno dimenticato! Questo, credo sia il dubbio comune che attanaglia ognuno di noi messi qui in attesa di notizie; quello di essere dimenticati. Intanto sono le ore 15,00 Portano via Irina, finalmente! E’ una di quelli che devono fare la tac. Meno male; io mi rilasso e vado a fare un’altra pipì. Nella sala di fronte c’è davvero il mondo I degenti sono silenziosi con sguardi supplichevoli! Mi fanno una gran pena, ma quello che invece mi riempie d’orgoglio è il vedere medici ed infermieri che gestiscono al meglio tutte le situazioni, anche le più critiche, senza mai alzare il tono della voce e senza perdere l’educato controllo (cosa di cui io, francamente non ne sarei capace). Sono le 15,30. Ecco, sento pronunciare il mio nome all’altoparlante: -Longhi in pronto soccorso! Longhi in pronto soccorso!- Mi agito, perché io sono già al pronto soccorso e per di più da qualche ora!!! Mi guardo intorno, mi alzo ma non so dove andare. Arriva poco dopo un’infermiera piccola con delle schede sottobraccio. -È lei Longhi?- -Sì, sono io- rispondo. -Deve andare a fare una tac, vero?- -Sì, dove devo andare?- -No aspetti, devo accompagnarla io. Mi attenda ancora un attimo qui!- Passa qualche minuto, ma nessuno si fa vivo. Allora cerco di chiedere a qualcuno del personale; mi anticipa un altro infermiere, forse il più giovane di tutti: -Longhi chi è?- -Sono io!- Rispondo molto agitato. -Ma … lei può camminare?- -Altro ché … ! Se mi dice dove devo andare vado subito!- -No, la devo accompagnare … ma visto che può camminare, mi segua che andiamo al piano di sopra- -Ma questa roba devo lasciarla qui?- indicando il mio giubbotto, maglione e valigetta.- -No no si porti tutto!- Allora afferro il mio malloppo e lo seguo: ascensore, primo piano, corridoio a sinistra e lì mi dice di attendere indicandomi alcune sedie. Io sto per sedermi, ma arriva immediatamente un’infermiere molto alto che mi dice di entrare in quella stanza e mettere tutto nello sgabuzzino adiacente. Dopo un po’ un’altra infermiera vestita in verde mi dice: -Longhi? Bene si tolga la camicia!- Mentre inizio a sbottonarmi mi viene da chiederle: -Avete ripristinato la tac? mi era parso di aver capito che non funzionasse … - Lei mi guarda e mi dice: -Mi dia un attimo quel foglio per favore!- Lo legge e poi con fare rapido mi dice: -Si rimetta la camicia e mi segua! Andiamo di là- Probabilmente stavano per farmi di nuovo i raggi! Comunque io riprendo tutta la mia roba in fretta, la seguo ed entro nella sala di fronte dove finalmente mi fa coricare su quel macchinario così tanto ambito. Fantastico!! Non mi sembra vero! E’ ora della mia la Tac! La mia ambita Tac! Una cosa rapida, durata al massimo dieci minuti, in silenzio, coricato e fermo. Sembra quasi di fare un rilassamento di yoga giapponese. Che meraviglia, e fra poco sarò fuori! Ok, anche questo è fatto. L’infermiera mi dice che posso tornare giù, seguendo la linea gialla per tornare al pronto ed aspettare lì, davanti alla sala visita. Perfetto. Giubbotto maglione e valigetta sono tutti con me. Ripercorro a ritroso la strada dell’andata, anche se prima avevo preso l’ascensore, scendo le scale e ritrovo la mia linea gialla. Eccomi rientrato alla base! Solo che adesso la mia vecchia sedia a rotelle non c’è più! Mentre aspetto mi appoggio al muro di fianco alla sala visita, ma un infermiere mi manda in sala di attesa. Mi siedo in un angolo ad aspettare. Sono 16,15. Non so più cosa guardare su facebook. Non ho mai messo così tanti “mi piace” come oggi! Sento l’altoparlante chiamare >BSZBSZ Marco< in sala visita. Mi scaravento dentro la sala e chiedo: -Avete chiamato Longhi Marco?- Due medici mi guardano e uno di essi (Alessandro) legge al computer. -No! Gli esiti non sono ancora arrivati! Torni in sala. La chiameremo noi!- Cazzo che figura, non avevo sentito bene il cognome! Mentre esco, mi incontro forse con quel Marco che presumo fosse stato chiamato al mio posto. Sono le 16,30 uffa! Adesso dovremmo essere verso il rush finale! Non so più cosa guardare, cosa leggere, cosa fare! Vorrei camminare su e giù, ma non c’è nemmeno molto spazio! Ohh! Ecco che mi chiamano all’altoparlante! Ritorno in sala visita! Alessandro (il medico di prima) mi sorride come per confermarmi che stavolta tocca davvero a me. -Posso sedermi?- -Certo, la prego!- Scrive al computer una serie infinita di parole, poi mi riassume tutto quello che mi è stato fatto, e che oltre a consigliarmi di continuare di assumere i miei farmaci, possono dimettermi come dalle disposizioni ricevute dopo la visita neurologica. Insomma, non ho nulla! L’infermiere che ha ascoltato il tutto, mi si avvicina e finalmente mi toglie dal braccio quell’ago così tanto odiato da avermi condizionato tutta la giornata. Alessandro, mi porge il mio verbale di dimissione stampato sempre su carta riciclata e mi saluta con un sorriso.. -Grazie mille dottore, grazie di tutto.- Raccolgo per l’ultima volta le mie cose, esco dalla stanza, ripercorro il corridoio fra lettighe e sedie a rotelle ed esco definitivamente dall’ospedale. Sono le ore 17,00.
È andato tutto bene, direi! Sono saldamente
sulle mie gambe, non ho più il mio mal di testa, posso
telefonare e dare belle notizie, e voglio dirlo: ho passato una
giornata molto interessante!
Ho comunque acquisito una nuova esperienza; che
voglio definire una “conferma” a quello che ho sempre
asserito, cioè che un Pronto Soccorso è un una raccolta
di mille sensazioni; dalla sofferenza, la pazienza, la solitudine, la
fiducia, la speranza e l’impotenza, alla disperazione, le
umiliazioni, la dignità e la disponibilità, la serietà
ed il sorriso.
Lì c’è la “Vita”; la
vera Vita!
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